L’artista rumeno Brendea Cosmin risente chiaramente di suggestioni novecentesche nell’esecuzione delle sue opere: un afflato simbolista e onirico permea ogni sua creazione, dal paesaggio naturale a quello antropizzato. Nella grafica il lapis, impalpabile e fuggevole nella sua mano, traccia, con linee morbide e sfumate, volti muliebri spesso assenti, ritratti in un abbandono sensuale caro alle cerchie fin de siècle.
Nell’olio, i protagonisti del mito non sono le semidivinità cui il lettore è abituato, forgiate secondo il principio kalòs kai agathòs: essi vengono invece mostrati all’astante nel loro aspetto più umano, comprensivo degli elementi della fragilità, dell’angoscia, del turbamento, apparendo dunque estremamente moderni.
Si tratta di una realtà in cui si intrecciano fantasia, memoria e riferimenti dotti. L’autore subisce i processi dell’immaginazione e le conseguenti sorprese sul supporto di riferimento: la risultante è un senso di arcano, di straniamento dal contesto temporale.
Talvolta, come in The night, delle accensioni luministiche si impongono su sfondi scuri, sorta di fuochi fatui dalle indubbie atmosfere magiche.
Altre volte, invece, i soggetti divengono città come Parigi, Roma, Firenze, culle della cultura e dell’identità europea: come in un personale Gran Tour, esse vengono riproposte attraverso un filtro poeticizzato (con tutte le licenze del caso) secondo uno schema cromo-formale rapido, in cui la pennellata è tangibile.
Ivan Caccavale
Storico, critico e curatore d’arte